
Gli agenti atmosferici avversi, le estenuanti camminate ,carichi come muli nella soffice sabbia, dove ogni passo ha il peso di un macigno, l'altalena delle cime sballotate dal vento e dalle onde, quasi una partitura ritmica che solo il brusco arrivo del nostro avversario riesce ad interrompere, le pause, le fatiche, i premi...
Ci sono battute di surf dalle quali esci svuotato, sia fisicamente che mentalmente, una miscela di emozioni che si amalgama, lasciandoti in un estremo stato di quiete, un dolce riprendersi da una visione onirica, la mente si libera, si ricarica alleggerita, ma arricchita delle nuove conoscienze.
Probabilmente, per chi già padroneggia la lingua del surf, queste riflessioni non fanno che descrivere una coscienza ormai somatizzata, è sufficiente una piccola sollecitazione perchè i sensi reagiscano allo stimolo.
Per chi ancora è sordo a certe frequenze, probabilmente, giudicherà queste parole come ridicole elocubrazioni mentali condite da un melenso eccesso di romanticismo, prendo atto di questa realtà dalla quale non posso esimermi, ma preoccuparmi degli effetti di ciò che scrivo, probabilmente, sarebbe solo impormi un limite, un limite che non farebbe altro che rinforzare la materia arida,con la quale, i paladini del "fantasurf", foggiano le loro improbabili maschere.
C'è un dialogo, invece,in questa disciplina, dal quale non ci si può sottrarre, fatto più di ascolti forse, che di parole, per Lui, il nostro grande interlocutore, le nostre domande non sono importanti quanto lo sono per noi le risposte.
Ancora una volta gli siamo dinnanzi, il maestrale teso è un canto opprimente, i movimenti procedono a stento, raffiche di pioggia sono come schiaffi, guardiamo quelle onde, il loro frenetico "rotolare", cerchiamo un segnale, una chiave di lettura a questo marasma di schiuma.
Siamo stati ossequiosi, ci siamo presentati, lo abbiamo fatto con umiltà e rispetto, eppure non ci è concessa ancora udienza, ancora lui ci è avverso, come emissari mandati per colpire, quei ciuffi di poseidonia morta insidiano le notre lenze rinviando puntualmente le zavorre al mittente.

Qualcosa non va, lo sconforto sale quasi a diventare rabbia, ma la razionalità frena l'istinto, perdere la concentrazione non farebbe che spianare la strada ormai in discesa, della capitolazione.
Un respiro profondo, incassiamo i colpi del vento e della pioggia, che non sembrano darci tregua, round dopo round, rischiamo seriamente di andare al tappeto, se non cerchiamo di studiare meglio l'avversario e rivedere la strategia.

Non ci resta che rimetterci in marcia, prima che le tenebre ci precludano ogni possibilità di studiare l'evolversi dell'elemento liquido e di provare a dare una svolta.
Ancora qualche metro, la meta sembra vicina, ma così infinitamente lontana, la sabbia ingoia i nostri piedi, le spalle cariche, quel vento di maestrale, avverso, quel settore sembra inarrivabile, ma è lì davanti ai nostri occhi.
Quelle onde ostili, sembrano esserci finalmente diventate amiche, ci accolgono e ospitano le nostre insidie, si inchinano e si destano in una danza sinuosa, quasi ad onorare la nostra visita.

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